Accademico di Santa Cecilia dal 2008, Andrea Lucchesini è tra gli interpreti più importanti della scena internazionale. Formatosi alla grande scuola pianistica di Maria Tipo, è impegnato in un’intensa attività discografica e concertistica che comprende le più grandi orchestre e celebri direttori quali Abbado, Bychkov, Gatti, Harding, Noseda e Sinopoli. Camerista appassionato al fianco di colleghi prestigiosi, si dedica con entusiasmo anche all’insegnamento ed alla promozione dei giovani musicisti. Dal 2018 è Direttore Artistico dell’Accademia Filarmonica Romana.
Andrea Lucchesini tiene presso l’Accademia di Musica corsi di perfezionamento di pianoforte e masterclass al campus Musica d’Estate di Bardonecchia, oltre ad essere uno dei docenti del corso di pianoforte della nuova Scuola di specializzazione post-laurea in beni musicali strumentali. Lo abbiamo intervistato nell’ambito di Professione Musicista per chiedergli suggerimenti e consigli utili ai nostri studenti, destinati a diventare la futura generazione di professionisti.
Quali sono le esperienze più significative che hanno caratterizzato il suo percorso formativo, in quale periodo della sua vita e perchè?
Certamente fondamentale è stato nascere in una famiglia abitata dalla musica: mio padre era un musicista di grande talento, diplomato in tromba e polistrumentista autodidatta; oltre a fisarmonica, chitarra, percussioni e tutti i fiati suonava anche il pianoforte e dava lezioni in casa. Accortosi ben presto della facilità con cui mi ero avvicinato allo strumento mi ha accompagnato al Conservatorio di Firenze dove ho avuto la straordinaria opportunità di entrare nella classe di una celebre pianista come Maria Tipo, concertista di grande fama e didatta appassionata. Grazie al suo insegnamento e all’oculatezza delle sue scelte ho avuto un’infanzia del tutto normale, senza sovraesposizioni pubbliche. Non più di un concorso ogni anno per testare la preparazione, i normali esami del Conservatorio e lo studio della composizione, oltre ovviamente all’approfondimento della letteratura, dell’arte figurativa, della filosofia e del teatro.
Ci racconta uno o due momenti determinanti della sua carriera? Cosa hanno rappresentato?
Un’occasione speciale è stata sostituire Maria Tipo in recital a Parigi: non poté suonare per motivi di salute e il giorno prima del concerto propose il mio nome. La serie era la più prestigiosa del Théâtre des Champs-Elysées e io non avevo ancora 18 anni: il pubblico, stipato in attesa di un’artista molto amata, si trovò invece di fronte un ragazzino. L’organizzatore del concerto si premurò di avvertire che, nel caso qualcuno avesse voluto il rimborso del biglietto, sarebbe stato accontentato. Invece andò molto bene, e fu, insieme alla successiva vittoria del Concorso Ciani alla Scala, l’inizio della mia attività internazionale. Un momento determinante fu l’incontro con Luciano Berio, che nel 1991 mi propose di eseguire il suo Concerto II ”Echoing Curves” per pianoforte e due gruppi strumentali ai PROMS di Londra, in diretta radiofonica BBC. Non avevo mai fatto una così intensa esperienza di musica contemporanea, ma con Berio ho iniziato una collaborazione che mi ha arricchito moltissimo. L’altro passaggio decisivo della mia crescita di musicista è stata l’attività cameristica, iniziata alla fine del 1989 con Mario Brunello e proseguita con grande gioia e impegno prima negli Incontri con la musica da camera presso l’Unione Musicale di Torino, dove per 13 anni abbiamo esplorato il repertorio della grande musica da camera con tanti amici bravissimi, poi come parte integrante del mio essere musicista.
Gli errori spesso sono dei grandi insegnamenti: se potesse tornare indietro cosa farebbe diversamente?
Ho fatto certamente degli errori, anche perché l’accelerazione dell’attività concertistica e discografica è stata repentina e mi ha messo prima dei vent’anni in condizione di dover continuamente prendere decisioni importanti sui programmi, sulle collaborazioni, e non sempre sono riuscito a calcolare le forze, oppure non ho avuto la prudenza di non accettare ciò che non ero sicuro fosse nelle mie corde di interprete. Senz’altro ho viaggiato moltissimo, ma desideravo comunque tornare a casa, e quindi ad esempio non ho mai preso in considerazione l’idea di fare un’esperienza prolungata di soggiorno all’estero, che invece sarebbe stata importante.
Le decisioni importanti da prendere, lungo il cammino, sono sempre molte e talvolta si legano a filo doppio con le occasioni che si presentano. Cosa l’ha aiutata a non perdere l’orientamento?
Negli anni della formazione è stata decisiva la fiducia assoluta nelle indicazioni della mia insegnante in merito al repertorio ed alla tempistica di esami e concorsi, così come le sue raccomandazioni sulla frequentazione del teatro e delle sale da concerto, complemento indispensabile non solo alla conoscenza delle opere e degli interpreti, ma soprattutto alla vita di un musicista. Inoltre sono sempre stato sostenuto dalla convinzione che sia onesto e giusto mantenere gli impegni assunti, anche quando per farlo si è costretti a rinunciare ad un’occasione particolarmente prestigiosa. Ho creduto importante proseguire in un percorso di crescita, che comporta la necessità di approfondire via via i vari aspetti dell’attività del musicista (nel tempo sempre più poliedrica), che oggi è spesso oltre che interprete e didatta, anche operatore culturale in senso lato. Ho cercato di far tesoro degli incontri e degli stimoli, anche grazie ad una naturale curiosità e ad una grande passione per il mio lavoro. Col passare del tempo ho preso coscienza che è possibile comunicare attraverso la musica soprattutto a partire dagli autori più congeniali, e ho compiuto scelte mirate ad approfondire le opere nelle quali sento di trovare una maggiore naturalezza espressiva, anche a costo di non accogliere una richiesta ricevuta. Credo infine di avere avuto il vantaggio di una rasserenante stabilità affettiva, sia nella mia famiglia d’origine che in quella che ho costruito da adulto; questo mi è di grande aiuto, a fronte di un’attività artistica che non solo assorbe tante energie e richiede un grande autocontrollo, ma comporta spesso la conseguenza della solitudine.
Cosa consiglia ai ragazzi che si stanno perfezionando, oltre allo studio con grande passione e costanza?
In base alla mia esperienza posso dire che è molto importante fidarsi di un maestro – quando l’incontro fa scattare il giusto feeling – e seguire le sue indicazioni di percorso anche se i risultati non sono immediati. La crescita musicale non è una linea retta, ma spesso si avvantaggia di fasi diverse, nelle quali è fondamentale la fiducia nella guida. Riempire il proprio curriculum con i nomi di decine di insegnanti fa perdere di vista il fine della relazione didattica, che è un percorso articolato fatto magari di esperienze diverse, ma comunque cosa ben diversa da un self service di nozioni da sommare. Vivere di musica oggi significa avere molte frecce al proprio arco, sul piano strettamente tecnico ma anche, soprattutto, sul piano culturale in senso lato. È importante coltivare i vari ambiti, conoscere ad esempio le modalità di un’esecuzione storicamente informata, avvicinarsi alla musica antica e frequentare assiduamente il repertorio cameristico, cercando partner con i quali sia costruttivo far strada insieme. Essere insomma curiosi e non autoreferenziali, pensando che anche le modalità del concerto non sono fissate per sempre, ma mutando nel tempo richiederanno domani interpreti fantasiosi e interessanti, che soprattutto abbiano qualcosa da dire.
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