Luca Magariello, primo premio al concorso Khachaturian, già Primo Violoncello nell’Orchestra del Teatro la Fenice di Venezia e successivamente nell’Orchestra della Svizzera Italiana di Lugano, è oggi Primo Violoncello dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Svolge un’intensa attività concertistica come solista e come camerista, regolarmente ospite di manifestazioni musicali di rilievo internazionale. Collabora stabilmente come primo violoncello con la Camerata Salzburg. Insegna violoncello alla Milano Master School of Music e all’Accademia Internazionale di Imola.
Luca Magariello tiene presso l’Accademia di Musica un Corso di perfezionamento di violoncello. Lo abbiamo intervistato nell’ambito di Professione Musicista per chiedergli suggerimenti e consigli utili ai nostri studenti, destinati a diventare la futura generazione di professionisti.
Quali sono le esperienze più significative che hanno caratterizzato il suo percorso formativo, in quale periodo della sua vita e perchè?
Sicuramente ce ne sono molte, ma un’importanza fondamentale per la mia crescita l’hanno indubbiamente avuta i miei maestri. Il mio primo è stato il Maestro Antonio Mosca con la sua scuola Suzuki, che ho cominciato molto piccolo, a 4 anni. Mi ha dato i valori artistici e umani, i fondamentali sulla tecnica, interpretazione e buon gusto, senza i quali oggi non solo non sarei un musicista, ma sarei anche un essere umano diverso. Antonio è una persona illuminata, con la capacità innata di creare un canale speciale con i ragazzi. Il mio cammino con lui e l’esperienza dell’orchestra Suzuki nella mia giovinezza hanno sicuramente formato la mia sensibilità artistica.
Dopo sono arrivati Enrico Dindo ed Enrico Bronzi, che sono stati i maestri a cui ho affidato il mio perfezionamento, facendo forse un po’ una scommessa con me stesso, ovvero decidendo di non iscrivermi in una scuola fuori Italia, reputando più importante seguire loro che fare una esperienza all’estero, solo perché la prassi imponeva di fare così dopo il diploma, con un insegnante che non conoscevo o che non mi convinceva. Ne scelsi due, ed entrambi casualmente vicino casa.
Infatti all’epoca non insegnavano in una Hochschule come ora; erano ancora rinomati più come concertisti che come docenti, e in più erano molto diversi tra loro a livello di insegnamento. Questa scelta alla fine ha premiato, perché loro mi hanno dato i mezzi per poter godere della musica, sia tecnici che, soprattutto, artistici.
Ci racconta uno o due momenti determinanti della sua carriera? Cosa hanno rappresentato?
Un momento importante è stato il Khachaturian International Competition, vinto a vent’anni: seppur non mi abbia dato la spinta sperata in termini di carriera, mi ha dato un entusiasmo e una consapevolezza dei miei mezzi fondamentale in quell’età per migliorarmi e fare un salto di qualità nello studio e nella ricerca della mia identità come artista. Mi ha dato inoltre quella notorietà e credibilità che mi ha permesso di entrare nella lista dei musicisti su cui investire, soprattutto per le chiamate di orchestre importanti alle quali sicuramente mi sarei avvicinato molto più tardi. Ma non posso non citare l’esperienza nell’Orchestra del Teatro la Fenice dove all’età di 25 anni, tramite concorso, sono entrato nel ruolo di Primo Violoncello. È il primo ente importante che ha creduto in me e a questa esperienza sono legate le mie prime esperienze e sensazioni provate in occasione di concerti con direttori importanti. Con loro ho veramente imparato il mestiere e a gestire lo studio insieme al lavoro e, cosa importante, mi ha dato uno status; e poi mi ha catapultato nel mondo dell’Opera che ha contribuito a formare la mia concezione dell’arte e della musica. Amo l’Opera e mi manca molto.
Gli errori spesso sono dei grandi insegnamenti: se potesse tornare indietro cosa farebbe diversamente?
Scenderei di più a compromessi con me stesso in qualche situazione. Ovvero, credo che non avrei dovuto sottovalutare l’importanza di considerazioni strategiche e politicamente rilevanti nel prendere alcune decisioni. Dopo il concorso Khachaturian, il percorso di studio con i miei maestri era quasi finito, ma ho scelto di continuare a studiare con loro perché sentivo che dovevo ancora completarmi strumentalmente. Avrei invece dovuto sfruttare la vittoria del concorso anche per contattare delle figure musicalmente influenti ed entrare a far parte di un ambiente elitario, e di scuole la cui appartenenza ti dava più credito nei concorsi internazionali, forse anche più accesso ad alcuni di essi, e maggiori possibilità di visibilità. Non voglio essere frainteso, nè tradire ciò che ho detto prima. Sono fiero e orgoglioso del percorso che ho fatto e sicuro che il proprio perfezionamento inizialmente debba essere affidato a persone che ci affascinano e che ammiriamo senza alcun compromesso. Riguardandomi indietro mi accorgo però, che dopo quella vittoria i tempi sarebbero stati maturi. Avrei potuto essere anche un po’ più strategico, invece ho scelto di seguire solo il cuore e l’istinto. Avessi agito diversamente, forse avrei potuto avere più possibilità di carriera come concertista o essere selezionato dalle agenzie ma, d’altra parte, avendo preferito proseguire gli studi per altri due anni con i miei maestri, sono maturato tecnicamente e non ho perso quell’orientamento artistico che, chissà, forse da altre scelte sarebbe stato minato.
Le decisioni importanti da prendere, lungo il cammino, sono sempre molte e talvolta si legano a filo doppio con le occasioni che si presentano. Cosa l’ha aiutata a non perdere l’orientamento?
Se si parla di orientamento artistico inteso come processo per creare una propria identità e personalità, mi ricollego al discorso di prima. Credo sia importante selezionare bene quali saranno le figure artistiche a cui affidarsi, adatte su misura per noi, che abbiano quella sensibilità e quel carisma e, perché no, anche quella ruvidità giusta, non solo per completarci e per correggere i nostri difetti, ma per farci usare la testa. Se tutti questi elementi sono incanalati in maniera corretta, troviamo la nostra strada con un’idea profonda di come vogliamo essere musicisti e perdersi sarà più difficile.
Per quanto riguarda le scelte artistiche – intese come la possibilità di prendere una strada piuttosto di un’altra, di partecipare o meno ad un progetto, di coltivare una relazione musicale e investirci tempo – credo di essere sempre stato fedele alla mia personale concezione di come volessi occuparmi della musica. L’ho fatto seguendo, qualche volta consciamente e talvolta di pancia, ciò che pensavo mi potesse arricchire e affascinare e che potesse completarmi, scartando di conseguenza ciò che non mi interessava o non sentivo stimolante, cercando sempre di ritagliarmi del tempo per lo studio e la ricerca che è l’anima di tutto. Intendo che non mi sono perso perché ho sempre cercato di seguire la mia idea e di nutrirmi di cose affini alla mia identità e al mio pensiero, perché ci credevo, con un occhio di riguardo al giusto tempo per la ricerca e per lo studio.
Come ogni cosa, però, questa consapevolezza doveva coincidere con una risposta, una conferma esterna; con dei feedback positivi e dei successi, degli incoraggiamenti, un segnale, insomma, che fossi sulla strada giusta. Essermi confrontato presto col mondo del lavoro e dei concorsi, non stando solo chiuso nella mia stanza, ma mettendo in primo piano l’aspetto performante e il testarmi in diverse situazioni, mi ha sicuramente aiutato a non perdere di vista i miei obiettivi e il livello artistico che volevo (e voglio tuttora) raggiungere.
Se invece si parla si orientamento lavorativo non ho una vera risposta per questo. Parlando di lavoro nel nostro mondo ci sono molte possibilità, tanti concorsi. Potenzialmente sono tutte occasioni, e ciascuno è artefice del proprio destino. Si tratta di scelte, tra le quali rientra anche quella di non prendere la strada dei concorsi d’orchestra, anche se ad oggi è molto difficile. Il criterio selettivo non deve essere soltanto legato alla propria competenza e portata musicale e artistica, ma anche a dove si vuole vivere, con che ritmi di lavoro si vuole improntare la propria vita, se si ha o si desidera una famiglia, cosa rispecchia più i propri gusti (anche se nel mondo competitivo di oggi pochi possono concedersi il lusso di assecondare quest’ultimo aspetto).
Cosa consiglia ai ragazzi che si stanno perfezionando, oltre allo studio con grande passione e costanza?
Probabilmente sarà un cliché quello che dico, ma io consiglio di non seguire il gregge. Di pensare con la propria testa e di essere sempre curiosi e umili, perché così si arriva ad acquisire una personalità che ci rappresenterà sempre. Di selezionare con cura e passione i propri mentori musicali, di mirare all’eccellenza e di essere severi con se stessi con molta onestà intellettuale, di essere profondi con semplicità e di non avere mai pose o atteggiamenti, cercando la propria idea e identità artistica.
Di iniziare presto a confrontarsi con la realtà perché questo è un mondo sempre più competitivo dove nella maggior parte dei casi per vivere di musica con stabilità (suonando uno strumento) occorre un piazzamento in concorsi o graduatorie. Familiarizzare con questa sensazione spesso sgradevole è quindi importante per imparare a gestirla e a tradurla bene dentro noi stessi, senza che diventi un blocco emotivo. E di pensare che, come hanno sempre detto a me, l’emozione è un privilegio…
E di non occuparsi sempre e solo di musica!! Ma di fare sport ad esempio, che ti riporta con i piedi per terra, aiuta a conoscere il proprio corpo, a gestire la fatica e le emozioni, imparando lo spirito del sacrificio e a lavorare per e con gli altri, mantenendo la propria individualità. Molte affinità non credete?
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