Solista con l’Orchestra da camera Milano classica, l’Orchestra Filarmonica di Torino, l’European Youth Chamber Orchestra, l’Orchestra Sinfonica di Camberra, l’Orchestra 900 Teatro Regio di Torino e la National Philarmonic Orchestra di Donetsk, Giovanni Doria Miglietta è stato il primo pianista ad incidere l’integrale delle trascrizioni del pianista americano Earl Wild per la Brilliant Classics recensite in maniera entusiastica da riviste come Fanfare e Gramophone.
Giovanni Doria Miglietta tiene presso l’Accademia di Musica corsi pre-accademici e corsi di perfezionamento di pianoforte, oltre a tenere masterclass in occasione del campus Musica d’Estate. Lo abbiamo intervistato nell’ambito di Professione Musicista per chiedergli suggerimenti e consigli utili ai nostri studenti, destinati a diventare la futura generazione di professionisti.
Quali sono le esperienze più significative che hanno caratterizzato il suo percorso formativo, in quale periodo della sua vita e perchè?
Le esperienze significative son state molte. Potrei dire che ho avuto la fortuna di iniziare il pianoforte all’età di 3 anni perché mio padre è un musicista polistrumentista. Ai tempi lo sentivo dare lezioni di pianoforte e chitarra. É stato un grande insegnante perché mi faceva sfogare sul pianoforte e mi ha fatto apparire lo studio della musica come un gioco entusiasmante facendomi capire già da piccolo cosa avrei voluto fare nella vita. Ricordo che alle elementari spesso mi fingevo malato per stare a casa a suonare con mio padre. Un mondo poi mi si è aperto quando ho incontrato il maestro Enrico Pace con il quale ho studiato diversi anni.
Ci racconta uno o due momenti determinanti della sua carriera? Cosa hanno rappresentato?
I momenti determinanti della mia carriera sono arrivati spesso in maniera inaspettata o addirittura improvvisa. Ricordo ad esempio la vincita ad un concorso internazionale in Spagna al quale avevo partecipato andando contro il volere dei miei insegnanti semplicemente perché volevo fare un’esperienza all’estero. Il secondo forse è stato il debutto in Sala Verdi a Milano per la Società dei Concerti. Sono stati determinanti perché mi hanno fatto avere delle grosse conferme ma allo stesso tempo stimolanti perché mi hanno fatto capire che c’era ancora molta strada da fare!
Gli errori spesso sono dei grandi insegnamenti: se potesse tornare indietro cosa farebbe diversamente?
Se potessi tornare indietro studierei molto di più nel periodo del liceo. Mi ricordo che ero distratto da tante cose e inoltre il Liceo classico mio malgrado mi portava via tempo allo studio del pianoforte. Quelli sono anni molto importanti dove tutto ciò che impari entra nel tuo DNA per sempre. Inoltre col senno di poi cercherei di fare delle esperienze di studio all’estero e non semplici masterclass, ma questo più per uno sfizio personale.
Le decisioni importanti da prendere, lungo il cammino, sono sempre molte e talvolta si legano a filo doppio con le occasioni che si presentano. Cosa l’ha aiutata a non perdere l’orientamento?
Penso che per orientarsi bene non si dovrebbe guardare troppo quello che fanno gli altri che spesso è fuorviante. Mi piace citare la frase di Confucio “Fai ciò che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita”. Bisogna cercare di essere onesti con se stessi e capire davvero quello che si amerebbe fare e che ci renderebbe felici, senza farsi influenzare dalla famiglia o da chicchessia. Capire ciò per cui noi siamo fatti e dove potremmo lasciare un segno che possa essere prezioso per il prossimo. Io mi reputo fortunato perché l’ho capito quando avevo 10 anni.
Cosa consiglia ai ragazzi che si stanno perfezionando, oltre allo studio con grande passione e costanza?
Consiglierei loro di non aver mai paura a mettersi in gioco, di non risparmiarsi, di non accontentarsi mai, di rischiare, per non avere rimpianti dopo. Anche perché se non si osa da giovani, sarà difficile farlo da adulti. Di non guardare troppo quello che fanno gli altri ma portare avanti le proprie scelte musicali con convinzione. Di considerare che non esiste solo il concerto da solista o di musica da camera, ma che esistono anche le interazioni con le altre arti. Gli direi di lavorare molto su stessi non solo sul proprio talento, ma anche sui propri punti deboli che non devono essere necessariamente solo connessi allo strumento che si suona, ma anche alla sfera della personalità del rapporto che abbiamo con noi stessi e con gli altri. Quando ci esprimiamo in concerto siamo nudi e viene fuori tutto quello che siamo sia nel bene che nel male.
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