Gabriele Carcano, nato a Torino nel 1985, è tra i pianisti italiani più affermati della sua generazione. Vincitore di numerosi premi, ha all’attivo una carriera internazionale che l’ha visto esibirsi in sale e stagioni di grande prestigio, da la Tonhalle di Zurigo a la Salle Pleyel di Parigi, dalla Musashino Hall di Tokyo all’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Ha suonato con orchestre quali Orchestre National de Montpellier, Staatskapelle Weimar e l’Orchestra da Camera di Mantova. Eccellente camerista, lavora regolarmente con Stephen Waarts, Lorenza Borrani, Enrico Dindo, Sergej Krylov, Marie-Elisabeth Hecker, Quartetto Hermes, Danilo Rossi, Viviane Hagner.
Dall’autunno 2015 Gabriele Carcano tiene presso l’Accademia di Musica corsi di perfezionamento di pianoforte e masterclass al campus Musica d’Estate. Lo abbiamo intervistato nell’ambito di Professione Musicista per chiedergli suggerimenti e consigli utili ai nostri studenti, destinati a diventare la futura generazione di professionisti.
Quali sono le esperienze più significative che hanno caratterizzato il suo percorso formativo, in quale periodo della sua vita e perchè?
Vorrei partire dal presupposto che ogni percorso nel campo della musica sia molto personale e difficilmente paragonabile ad un altro, non ci sono una serie di step predefiniti da seguire che funzionino per tutti. Per esempio, io non vengo da una famiglia di musicisti, ci è voluto tempo prima d’iniziare a confrontarmi con musicisti e insegnanti di alto livello, quindi gli incontri con Andrea Lucchesini e Aldo Ciccolini sono stati dei momenti importanti per i miei studi, così come il vivere all’estero o partecipare a diverse edizioni del Marlboro Music Festival. Se devo trovare un denominatore comune sono state tutte occasioni di confronto e apprendimento importanti. A volte però anche un concerto ascoltato, un libro letto, uno scambio d’idee con un collega possono essere importanti momenti formativi, per questo penso sia importante non essere soltanto dei “pianisti” ma musicisti ed essere umani in senso più ampio e completo.
Ci racconta uno o due momenti determinanti della sua carriera? Cosa hanno rappresentato?
Non avendo praticamente mai partecipato a concorsi ci sono state altre occasioni rispetto ad un premio. Dovendone scegliere due direi l’incontro con agenti e direttori artistici in occasione di una rassegna del Cidim per la quale suonai, che mi ha permesso di avere un primo contatto più professionale con il mondo dei concerti. Allo stesso modo il Borletti-Buitoni Trust, che mi ha dato ulteriori contatti all’estero e possibilità d’incontro con molti bravi musicisti, oltre che un incentivo a pensare a dei progetti personali.
Gli errori spesso sono dei grandi insegnamenti: se potesse tornare indietro cosa farebbe diversamente?
Tutto e niente. Difficile guardarsi indietro e dirsi: “quella cosa è stata perfetta”, personalmente c’è sempre qualcosa che avrei voluto fare meglio o diversamente. Avrei voluto studiare meglio, suonare meglio, scegliere meglio, ascoltare meglio un consiglio, non tralasciare questo o quello. Allo stesso tempo non cambierei molto perché conosco solo la versione di me stesso di oggi, frutto di quelle scelte, giuste o sbagliate. Ci sono cose che ovviamente vorrei diverse, ma il risultato sarebbe necessariamente migliore? Guardarsi indietro è fondamentale, allo stesso tempo si tende spesso a dimenticare che ciò che conoscevamo all’epoca non era ciò che conosciamo oggi, riesaminare quei momenti con il giudizio dell’esperienza di oggi può essere dannoso se portato all’estremo. Se gli errori sono grandi insegnamenti, sono ancora da considerare errori? Anche accettare che certe cose non dipendono interamente da noi è un insegnamento, più importante del non fare errori credo sia di farne in buona fede, seguendo una direzione generale in cui si crede. La perfezione non esiste o allora esiste solo vista da fuori, è un’illusione.
Le decisioni importanti da prendere, lungo il cammino, sono sempre molte e talvolta si legano a filo doppio con le occasioni che si presentano. Cosa l’ha aiutata a non perdere l’orientamento?
In molti casi aver avuto (e avere tuttora) persone intorno che stimo e di cui mi fido, a cui chiedere consigli, questo è fondamentale. Ciò non toglie che ci siano stati dei momenti di maggior smarrimento, anche questo fa parte della crescita e percorso di un’artista e non penso sia un problema in sé. Non sono momenti facili, aiutano però a conoscersi. Spesso “perdersi” vuol dire scollarsi dall’immagine che si ha di sé stessi, o quella che gli altri si aspettano, questo processo può essere doloroso ma importante per trovare la propria natura di persona e musicista. Ancora una volta, è importante avere la sensazione di una direzione generale verso la quale ci si sta muovendo. Bisogna credo trovare un mix tra il fidarsi di sé stessi, degli altri da cui ci sentiamo intimamente capiti, di una parte istintuale unita a un minimo di leggerezza.
Cosa consiglia ai ragazzi che si stanno perfezionando, oltre allo studio con grande passione e costanza?
Al netto delle mie risposte, forse un po’ atipiche, direi una cosa più di ogni altra: di avere una visione della propria vita e dell’essere musicista a lungo termine. Di ascoltare e riconoscere una propria voce interna e di aver fiducia in quella e nel proprio lavoro, saranno l’unico vero sostegno e guida in mezzo alle difficoltà, sacrifici, errori come anche successi, gratificazioni e altro. Credo questo si applichi a prescindere da quello che si farà nella propria vita di musicista: siano concerti, insegnamento o altro. Il come si esprimerà l’essere musicisti può essere determinato da tante cose, però cosa vogliamo comunicare ed essere viene prima del come, è più importante. Direi anche di fidarsi dei propri insegnanti (se sono stati scelti con lo stesso criterio di onestà e se ci si sente riconosciuti e capiti) perché sono (siamo) qui soprattutto per cercare di aiutarvi.
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