Enrico Pace, pianista attivo sulla scena internazionale, ha suonato con orchestre prestigiose come la Royal Orchestra del Concertgebouw, la Filarmonica di Monaco, la LSO di Londra la BBC Philharmonic Orchestra e l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Ha collaborato con numerosi direttori d’orchestra fra cui spiccano Roberto Benzi, Gianandrea Noseda e Zoltan Kocsis. Agli impegni solistici affianca un’intensa attività cameristica. Forma stabilmente un duo pianistico con Igor Roma e si esibisce regolarmente in recital con il violinista Leonidas Kavakos. È docente presso l’Accademia di Imola.
Enrico Pace tiene presso l’Accademia di Musica corsi di perfezionamento di pianoforte, masterclass al campus Musica d’Estate di Bardonecchia ed è uno dei docenti del corso di pianoforte della nuova Scuola di specializzazione post-laurea in beni musicali strumentali. Lo abbiamo intervistato nell’ambito di Professione Musicista per chiedergli suggerimenti e consigli utili ai nostri studenti, destinati a diventare la futura generazione di professionisti.
Quali sono le esperienze più significative che hanno caratterizzato il suo percorso formativo, in quale periodo della sua vita e perchè?
Per prima cosa direi la scoperta dei dischi che i miei genitori ascoltavano, che mi ha portato ad interessarmi alla musica: ricordo ancora l’esaltazione quando trovai in un negozio un LP dei concerti di Liszt, ascoltandolo con entusiasmo. Fui incoraggiato in questa passione e presto iniziai a suonare il pianoforte. Una tappa fondamentale è stata studiare con il M° Franco Scala al Conservatorio di Pesaro, in quanto mi ha dato i mezzi per poter pensare alla musica come l’attività principale del mio futuro. Ho continuato gli studi all’Accademia di Imola, dove l’incontro con grandi pianisti come Lazar Berman e tanti altri, mi ha aperto la mente verso le infinite possibilità di approccio alla tastiera e interpretazione: ancora a quei tempi (anni ‘80) non c’era Youtube e, a parte i dischi e la radio, venire a contatto con altri modi di fare musica era molto prezioso. Molto formativo è stato anche studiare Composizione e Direzione d’orchestra.
Ci racconta uno o due momenti determinanti della sua carriera? Cosa hanno rappresentato?
Senz’altro il Concorso Liszt a Utrecht nel 1989 è quello che ha dato un impulso fondamentale alla mia attività di esecutore: ho capito progressivamente che tutto quello che avevo appreso fino a quel momento era solo l’inizio di un percorso che, con l’esperienza concertistica e l’aiuto contestuale di una grande personalità come J.De Tiège, didatta belga che mi ha generosamente seguito nelle varie sale e consigliato innumerevoli volte, mi ha permesso di approfondire sempre più le dinamiche connesse all’esecuzione musicale. L’assunto principale era sviluppare l’autoascolto (spesso registrandosi dal fondo della sala), per correggere i tanti parametri fondamentali (andamento, fraseggio, livelli sonori, colori, pedale) e imparare l’importanza del rapporto con lo spazio nel quale il suono viene proiettato (una filosofia simile a quella di S. Celibidache, altro mio grande modello in quegli anni). Esperienza infinitamente arricchente è stata anche quella di fare musica da camera con grandi strumentisti ad arco come F. P. Zimmermann e L. Kavakos, che mi hanno portato a misurarmi con un repertorio diverso e un modo di fraseggiare molto più vicino alla fisiologia e al respiro umano, permettendomi di imparare tantissimo sul modo di intendere insieme una frase, di accompagnare una melodia e stimolandomi a trovare soluzioni timbriche originali per ovviare alle limitazioni del suono pianistico.
Gli errori spesso sono dei grandi insegnamenti: se potesse tornare indietro cosa farebbe diversamente?
Sarei più paziente, modererei i giudizi e cercherei di valutare meglio il tempo necessario per raggiungere i propri obiettivi interpretativi quando si affronta un pezzo nuovo: da giovane ero molto più superficiale di fronte allo studio ed approfondimento dei brani, ora capisco meglio come tutto sia parte di un mosaico di conoscenze che piano piano prende forma e ha bisogno di anni per sedimentarsi profondamente.
Le decisioni importanti da prendere, lungo il cammino, sono sempre molte e talvolta si legano a filo doppio con le occasioni che si presentano. Cosa l’ha aiutata a non perdere l’orientamento?
Indubbiamente sono stato fortunato nelle decisioni, anche quelle impulsive, come andare al Concorso Liszt nel 1989. Il mio Maestro (Scala), era contrario perché, essendo venuto a conoscenza dell’impegno molto tardi, solo 5 o 6 mesi prima mi sembra, non avevo ancora nel repertorio alcuni pezzi richiesti. Ora se un allievo vuole fare cose del genere lo metto in guardia: solo il tempo può rendere più solido un pezzo che si esegue per la prima volta, e non consiglio assolutamente esperimenti in circostanze di grande pressione. Allora, essendo più impulsivo, andai. Grazie anche al fatto che ci furono poche iscrizioni (era solo la seconda edizione), ebbi la fortuna di passare alle finali con esecuzioni non immacolate e per fortuna trovai una giuria molto magnanime! In generale bisogna affinare la consapevolezza delle proprie reali possibilità, specie di fronte al tipo di repertorio e cercare una strada consona alle proprie predilezioni musicali. Un pericolo sempre presente è accettare troppi impegni e non riuscire quindi a mantenere un livello di esecuzione adeguato.
Cosa consiglia ai ragazzi che si stanno perfezionando, oltre allo studio con grande passione e costanza?
Oggi, con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e delle tecnologie, ci sono tanti canali per avere risonanza al di fuori dei vecchi schemi, quindi se hanno voglia di esplorare queste modalità, li incoraggio; non bisogna avere pregiudizi di fronte a nulla. La parte fondamentale comunque resta la passione e l’amore per ciò che si fa, perché è quella che traspare e che permette di realizzare le proprie ambizioni. Inoltre la propria visione di un pezzo deve essere il frutto di un lavoro di affinamento estetico molto ampio: la curiosità verso tutte le forme di arte, letteratura e scienza è fondamentale per poter dare un’impronta personale a un’interpretazione. Esorto sempre a non scoraggiarsi di fronte agli insuccessi, che tutti abbiamo avuto: alla fine sono serviti a renderci più forti di fronte alle avversità, che nella vita non mancano di certo, come l’affrontare senza deprimersi questo periodo difficile. Invece di crucciarsi per le occasioni perse, consiglierei di approfittare dello stallo attuale per studiare brani nuovi e prepararsi al dopo, perché un “dopo” arriverà e il bisogno di condividere emozioni come quelle portate dalla musica resterà, quindi fare magari progetti a lunga scadenza e tenersi pronti a riemergere nelle migliori condizioni appena sarà possibile. A tutti i giovani colleghi lungo il cammino della conoscenza musicale mando i miei più sentiti “in bocca al lupo”!!
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