Considerato dalla critica internazionale come uno dei talenti più interessanti e completi della sua generazione, Benedetto Lupo si è imposto all’attenzione del mondo musicale con l’affermazione nel 1989, primo italiano, al prestigioso Concorso Internazionale Van Cliburn. Da qui la collaborazione con le più importanti orchestre americane ed europee, dalla Philadelphia Orchestra alla Boston Symphony, dalla Chicago Symphony alla London Philharmonic su invito di direttori come Yves Abel, Vladimir Jurowski, Bernard Labadie, Juanjo Mena e Kent Nagano. La sua intensa attività concertistica lo vede ospite regolare delle principali sale da concerto e festival internazionali fra cui il Lincoln Center di New York, la Salle Pleyel di Parigi, la Wigmore Hall di Londra, la Philharmonie di Berlino e il Festival Internazionale di Istanbul. Pianista dal vasto repertorio, con all’attivo registrazioni per numerose radiotelevisioni europee e statunitensi, Benedetto Lupo è inoltre accademico effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, e incanta il suo pubblico esibendosi con le più importanti orchestre del mondo.
Benedetto Lupo tiene presso l’Accademia di Musica Light Course di perfezionamento, masterclass durante l’anno accademico e masterclass al campus Musica d’Estate di Bardonecchia. Lo abbiamo intervistato nell’ambito di Professione Musicista per chiedergli suggerimenti e consigli utili ai nostri studenti, destinati a diventare la futura generazione di professionisti.
Quali sono le esperienze più significative che hanno caratterizzato il suo percorso formativo, in quale periodo della sua vita e perchè?
Mi è difficile riferirmi solo ad alcune esperienze del mio percorso formativo perché, col trascorrere del tempo, mi sembra che ogni esperienza abbia avuto la sua importanza. Se proprio dovessi indicare delle tappe fondamentali del mio percorso di studi, penso che la prima, con Michele Marvulli, e l’ultima, con Marisa Somma, racchiudano il senso di tutte le altre, per la loro importanza e perché mi hanno permesso di trarre il meglio da tutto quello che ho ricevuto tra queste due esperienze. Gli anni con Michele Marvulli sono stati essenziali per capire che, oltre ad allenare le dita, è forse ancor più importante allenare l’orecchio; le sue lezioni erano un’immersione totale nella musica e questo mi ha permesso di approfittare pienamente di tutte le esperienze successive, a cominciare dalle lezioni con un suo giovane allievo di allora, Pierluigi Camicia, che ha saputo assecondare e guidare con delicatezza l’insaziabile e inquieta curiosità musicale della mia adolescenza e a cui Marvulli mi aveva affidato quando ha lasciato il Conservatorio di Bari. Ci sono stati poi tanti incontri ricchi di conseguenze artistiche; penso a Magaloff, Agosti, Zecchi, Perticaroli, alle masterclass con Bolet e Perahia. Gli incontri con Aldo Ciccolini e Marisa Somma, che hanno concluso il mio “apprendistato ufficiale” hanno però avuto un’importanza particolare per intensità e durata e sono stati complementari nella loro diversità. In Aldo Ciccolini ho potuto innanzitutto constatare quanto il suo immenso talento pianistico, che brillava ovunque nel suo repertorio sterminato, si accompagnasse al rigore e quanto lavoro ci fosse dietro quella naturalezza, quel pianismo così apollineo e, per certi versi, così lontano da altri modelli che avevo ascoltato. L’incontro con Marisa Somma è stato essenziale perché io iniziassi finalmente a mettere ordine nei miei pensieri musicali, continuando comunque a nutrire la mia curiosità e ad aprirmi a sempre nuove prospettive, trovando però anche lo spazio interiore e il tempo necessario per operare una sintesi, mediando tra la ricerca perenne di uno slancio ispirato e la comprensione di quanto anche il controllo faccia parte di un percorso pienamente artistico. Grazie a lei la parola “controllo” ha perso per me quei connotati di aridità che inconsciamente le avevo sempre attribuito e che mi rendevano interiormente ostile ad essa. Da lì è stato più facile passare all’accettazione della compresenza nel suonare di forze contrastanti, che vanno accettate ed “abbracciate” per arrivare ad una comprensione più profonda di quella magica alchimia tra ispirazione, arte e “mestiere” che è suonare; perché il nostro è anche “mestiere” e, come tale, fatto non solo d’ispirazione, ma anche di tanti momenti di artigianato umile e paziente.
Ci racconta uno o due momenti determinanti della sua carriera? Cosa hanno rappresentato?
Premetto che, nonostante i tanti concorsi fatti, non sono mai stato entusiasta di farne; devo però riconoscere che i vari concorsi internazionali che ho affrontato sono stati momenti fondamentali per la mia crescita. In termini di carriera, forse il primo momento davvero importante è stato la vittoria al Concorso Internazionale di Jaén nel 1982, che mi ha dato una certa esposizione in Spagna e mi ha fatto innamorare del repertorio spagnolo per pianoforte; subito dopo ci sono state altre esperienze di successo negli Stati Uniti che mi hanno procurato parecchi concerti e mi hanno permesso di viaggiare molto, ma il momento che ha fatto veramente da spartiacque è stato il Concorso Van Cliburn nel 1989. Nonostante sino ad allora avessi già suonato parecchio e talvolta in posti piuttosto importanti, il Cliburn ha creato improvvisamente occasioni di concerti in numero molto maggiore rispetto a quanto avvenuto prima e, soprattutto, mi ha messo davanti alla necessità di suonare tanto repertorio diverso in un arco temporale ristretto. Improvvisamente mi sono trovato immerso in un ritmo molto più intenso di quello cui ero abituato e questa esperienza mi ha messo alla prova, facendomi crescere ed aiutandomi ad espandere ulteriormente i miei interessi musicali, a capire in quale ambito sentivo davvero di esprimermi al meglio, a comprendere com’è veramente la vita di un pianista in carriera, anche con i suoi momenti decisamente meno entusiasmanti di quanto possa apparire all’esterno. Non è stato sempre facile e in quegli anni ho apprezzato ancor più il fatto di avere un bagaglio di repertorio che mi permettesse di percorrere la mia strada con una certa sicurezza. Nonostante le tante difficoltà e il carico di lavoro spesso gravoso, sono stati anni entusiasmanti e importantissimi per la mia crescita artistica, il cui significato più profondo si è sicuramente riverberato negli anni successivi e anche nell’insegnamento.
Gli errori spesso sono dei grandi insegnamenti: se potesse tornare indietro cosa farebbe diversamente?
Gli errori sono davvero dei grandi insegnamenti, anche se a volte è difficile riconoscerlo; sicuramente ci sono cose che oggi farei diversamente, valutazioni che mi sono sfuggite, sia a livello umano che artistico; non sono mancate persone che hanno approfittato della mia lealtà e di una certa ingenuità all’inizio della carriera, ma ritengo che l’errore vada compreso e abbracciato come esperienza necessaria, perché nasce in un preciso contesto che è spesso imprevedibile. Di sicuro troverei stupido, col senno di poi, commettere nuovamente gli stessi errori, ma credo davvero che ogni cosa abbia un suo perché e che sia importante trasformare un errore in un punto di forza attraverso la lezione che abbiamo appreso commettendo quell’errore, senza perdere tempo in inutili rimpianti.
Le decisioni importanti da prendere, lungo il cammino, sono sempre molte e talvolta si legano a filo doppio con le occasioni che si presentano. Cosa l’ha aiutata a non perdere l’orientamento?
Una delle cose più difficili da imparare, almeno per me, è stata quella di saper dire di no; questa difficoltà va di pari passo con il suo opposto, ossia imparare a dire di sì per fare qualcosa che ci piace particolarmente e alla quale ci sentiamo chiamati, anche quando siamo frenati dalle nostre paure; con esse prima o poi dobbiamo fare i conti, capirne le origini e motivazioni e, anche se quest’analisi non si tradurrà automaticamente in un sì, quel che capiremo da questo processo potrà aprirci ad una comprensione più profonda e sincera di noi stessi. In circostanze del genere può essere di grande aiuto sapersi confrontare con persone che hanno un’esperienza maggiore della nostra e sulla cui benevolenza e stima sincera possiamo davvero contare; sia per riceverne consiglio, sia perché la presenza di queste persone nella nostra vita e il loro sostegno servono anche a farci da specchio e a guardare con chiarezza nelle nostre motivazioni artistiche più profonde.
Cosa consiglia ai ragazzi che si stanno perfezionando, oltre allo studio con grande passione e costanza?
Il primo consiglio che mi viene in mente è quello di vivere la musica in pienezza totale, cercare il bello e il vero dentro e fuori di sé, in ogni circostanza. Anche in tempi difficili come questi è importante avere sempre consapevolezza di dove affondano le radici della nostra interiorità, per continuare tenacemente a nutrirla, evitando di smarrirci e di non riconoscere più ciò che è davvero essenziale per noi rispetto a ciò che sembra esserlo ma, in realtà, non lo è.
__________________
- Benedetto Lupo >>
- Light Course di perfezionamento >>
- Masterclass durante l’anno accademico
- Masterclass al campus Musica d’Estate di Bardonecchia
- Restiamo in contatto: iscriviti alla newsletter >>